Federico e Caterinella


A Fergyó meg a Katóca


C'era un uomo che si chiamava Federico, e una donna che si chiamava Caterinella; si erano sposati e vivevano insieme da sposi novelli. Un giorno Federico disse: "Adesso vado nel campo, Caterinella; quando ritorno deve esserci in tavola qualcosa di arrostito per la fame, e una bevanda fresca per la sete." - "Va' pure, Richetto," rispose Caterinella, "va' pure, farò tutto quanto." Quando si avvicinò l'ora del pranzo, staccò una salsiccia dal camino, la pose in una padella con un po' di burro e la mise sul fuoco. La salsiccia incominciò a friggere e sfrigolare, mentre Caterinella se ne stava lì, soprappensiero, tenendo il manico della padella; d'un tratto le venne in mente: Intanto che la salsiccia cuoce, potresti spillare la birra in cantina. Così assicurò il manico della padella, prese un boccale e scese in cantina a spillar birra. La birra veniva giù nel boccale e Caterinella stava a guardarla; d'un tratto le venne in mente: Ohi, non sarà mica entrato il cane di sopra, che mi porti via la salsiccia dalla padella? Sarebbe il colmo! e si precipitò su per le scale. Ma il birbante aveva già la salsiccia in bocca e se la trascinava per terra. Caterinella si mise a inseguirlo e lo rincorse per un bel tratto nei campi, ma il cane era più veloce di lei e non mollò neppure la salsiccia che gli saltellava dietro. "Quel che è stato è stato!" disse Caterinella; si voltò e, siccome era stanca per la corsa, si mise a camminare tranquillamente, asciugandosi il sudore. Nel frattempo la birra continuava a uscire dalla botte, perché‚ la donna non aveva chiuso il rubinetto; e quando il boccale fu pieno, e altro posto non c'era la birra incominciò a scorrere in giro per la cantina, finché‚ la botte fu vuota. Caterinella era ancora sulla scala, e già si accorse della disgrazia. "Accidenti," gridò. "Che fare perché‚ Federico non se ne accorga?" Pensò un po'; infine le venne in mente che dall'ultima sagra c'era ancora in solaio un sacco di bella farina di frumento, poteva andare a prenderlo e spargerlo sulla birra. "Sì," disse, "ogni cosa ritirata, quando serve è già trovata!" Andò così a prendere il sacco in solaio, lo portò giù e lo buttò proprio sul boccale pieno che si rovesciò spandendo la birra di Federico per la cantina. "Benone!" disse Caterinella, "dov'è l'uno dev'esserci anche l'altro." E sparse dappertutto la farina. Quand'ebbe finito, disse, tutta contenta del proprio lavoro: "Com'è bello, lucido e pulito!"
A mezzogiorno tornò a casa Federico. "Allora, moglie, cosa mi hai preparato?" - "Ah, Richetto," rispose ella, "volevo arrostirti una salsiccia, ma il cane l'ha portata via mentre io spillavo la birra; e mentre rincorrevo il cane, la birra si è rovesciata; e mentre asciugavo la birra con la farina, ho rovesciato anche il boccale; in compenso la cantina è bell'asciutta adesso!" Federico disse: "Caterinella, Caterinella, non dovevi farlo! ti fai rubare la salsiccia, lasci aperto il rubinetto della botte, e per di più ci butti sopra la farina!" - "Già, Richetto, non lo sapevo, avresti dovuto dirmelo!"
L'uomo pensò: Con una simile moglie, devi essere più accorto. Aveva messo insieme una bella somma di denaro, e pensò, così, di cambiarlo in oro e disse a Caterinella: "Guarda, sono cicerchie gialle: le metto in una pentola e le sotterro nella stalla sotto la mangiatoia; ma tu stanne alla larga o te ne pentirai." - "No, Richetto," diss'ella, "non le toccherò di certo." Quando Federico se ne fu andato, arrivarono dei mercanti nel villaggio che vendevano tegami e pentole di terra, e domandarono alla giovane sposa se intendeva comprarne. "Brava gente," disse Caterinella, "io non ho denaro e non posso comprare nulla, a meno che non vi servano delle cicerchie gialle." - "Cicerchie gialle? e perché‚ no? Fatecele vedere," risposero i mercanti. "Andate nella stalla e scavate sotto la mangiatoia: le troverete lì: io non posso andarci." I furfanti andarono a scavare e trovarono oro puro; lo presero e tagliarono la corda, lasciando in casa pentole e tegami. Caterinella pensò di usare le pentole in qualche maniera e, poiché‚ in cucina ne aveva a sufficienza, le sfondò e infilò per ornamento sui pali della staccionata tutt'intorno alla casa. Quando Federico rincasò e vide quella decorazione, disse: "Cos'hai fatto, Caterinella?" - "Le ho comprate, Richetto, con le cicerchie gialle nascoste sotto la mangiatoia. Io non ci sono andata, i venditori hanno dovuto dissotterrarsele da s'" - "Ah, moglie," esclamò Federico, "che hai fatto! non erano delle cicerchie, ma oro puro, ed era tutto il nostro avere! Non avresti dovuto farlo!" - "Sì, Richetto," rispose ella, "ma non lo sapevo, dovevi dirmelo prima."
Caterinella stette un po' a pensare, poi disse: "Ascolta, Richetto, riusciremo ad avere di nuovo il nostro denaro: corriamo dietro ai ladri." - "Vieni," disse Federico, "proviamo, ma prendi con te burro e formaggio, per avere qualcosa da mangiare per strada." - "Sì, Richetto, lo prenderò." Si misero in cammino e, siccome Federico era una buona gamba, Caterinella rimase indietro. Che importa, pensò, quando torniamo indietro avrò già fatto un pezzo di strada! Arrivò a un monte, e ai due lati della strada c'erano dei solchi profondi. "Ma guarda un po'," disse Caterinella, "come hanno rotto, sbucciato e schiacciato questo povero terreno! non guarirà mai più." E, con cuore pietoso, prese il burro e lo spalmò sulle carreggiate a destra e a sinistra, perché‚ non fossero schiacciate dalle ruote; ma, mentre si chinava in quel gesto misericordioso, un formaggio le uscì di tasca e rotolò giù per il pendio. Caterinella disse: "Ho già fatto la strada una volta, non ho voglia di ritornare giù; ci andrà un altro ad acchiapparlo!" Così prese di tasca un altro formaggio e lo fece rotolare giù. Ma i formaggi non ritornavano; allora ne buttò un terzo pensando che forse aspettavano compagnia e non gradivano stare soli. Siccome non tornavano neppure in tre, disse: "Non capisco proprio! Ma potrebbe essere che il terzo non ha trovato la strada e si sia smarrito: spedirò giù il quarto a chiamarli." Ma il quarto non fece meglio del terzo. Allora Caterinella s'arrabbiò e gettò giù anche il quinto e il sesto; ed erano gli ultimi. Stette ad aspettarli per un po', ma poi, vedendo che non arrivavano mai, disse: "Lenti come siete, potrei mandarvi a chiamare la morte! pensate forse che voglia aspettarvi ancora? Me ne vado per la mia strada, se volete potete rincorrermi, le vostre gambe sono più giovani delle mie!" Caterinella andò e trovò Federico che si era fermato ad aspettarla perché‚ aveva voglia di mangiare qualcosa. "Fammi vedere quel che hai portato." Ma ella gli porse pane asciutto. "Dove sono il burro e il formaggio?" domandò Federico. "Ah, Richetto," rispose Caterinella, "con il burro ho spalmato la carreggiata e i formaggi stanno per arrivare: uno mi è scappato, allora ho mandato gli altri a chiamarlo." Federico disse: "Non avresti dovuto farlo, Caterinella, spalmare burro per strada e gettare i formaggi giù dal monte!" - "Sì, Richetto, ma avresti dovuto dirmelo!"
Mangiarono insieme il pane asciutto, poi Federico disse: "Caterinella, hai chiuso bene la casa prima di venir via?" - "No, Richetto, avresti dovuto dirmelo prima." - "Allora torna indietro a chiuder casa, prima che andiamo avanti, e porta anche qualcos'altro da mangiare. Io ti aspetterò qui." Caterinella tornò indietro e pensò: Richetto vuole qualcos'altro da mangiare, ma burro e formaggio non gli piacciono, perciò gli porterò un tovagliolo pieno di pere secche e una brocca d'aceto per bere. Poi mise il catenaccio alla parte superiore della porta; quella inferiore, invece, la scardinò e se la mise sulle spalle, credendo che la casa fosse più sicura se si portava dietro la porta. Dopo si mise in cammino tutta tranquilla e quando raggiunse Federico disse: "Eccoti qua la porta, Richetto, così potrai tu stesso custodire la casa!" - "Ah, Dio!" esclamò questi, "che moglie furba che ho! Scardina la porta in basso, che chiunque può entrarci, e mette il catenaccio in alto! Adesso è troppo tardi per ritornare ancora a casa, ma visto che hai voluto portarti l'uscio fin qui, lo porterai anche oltre." - "Porterò l'uscio, Richetto, ma le pere secche e la brocca d'aceto pesano troppo: le appendo all'uscio che le porti lui."
Così andarono nel bosco a cercare i ladri, ma non li trovarono. Nel frattempo si era fatto buio e i due salirono su di un albero per passarvi la notte. Ma non appena furono lassù, arrivarono coloro che portano via ciò che non vuol seguirli e trovano le cose prima che vadano smarrite. Si sedettero sotto l'albero, accesero un fuoco e volevano spartirsi il bottino. Federico scese dall'altra parte, raccolse delle pietre e risalì con l'intento di scagliarle addosso ai ladri uccidendoli a sassate. Ma le pietre non li colpirono e i malviventi esclamarono: "E' quasi mattina, il vento fa cadere le pigne." Caterinella aveva sempre l'uscio sulla schiena, e poiché‚ pesava tanto pensò che fosse colpa delle pere secche e disse: "Richetto, devo buttar giù le pere!" - "No, Caterinella, non ora," rispose egli, "potrebbero tradirci." - "Ah, Richetto, devo farlo per forza pesano troppo!" - "E allora buttale, per la miseria!" Le pere secche rotolarono fra i rami, ma i ladri dissero: "Sterco di uccelli." Dopo un po', siccome l'uscio continuava a pesare, Caterinella disse: "Ah, Richetto, devo rovesciare l'aceto!" - "No, Caterinella, non devi, potrebbe tradirci." - "Ah, Richetto, devo farlo per forza, pesa troppo!" - "E allora buttalo, dannazione!" Caterinella rovesciò l'aceto spruzzando i ladri che dissero: "Incomincia già a cadere la rugiada." Finalmente Caterinella pensò: E se fosse la porta a pesarmi tanto? e disse: "Richetto, devo buttar giù la porta." - "No, Caterinella, non ora, potrebbe tradirci." - "Ah, Richetto, devo farlo per forza, pesa troppo!" - "No, Caterinella, tienila forte!" - "Ah, Richetto, la lascio andare!" - "E allora," rispose Federico furibondo, "lasciala andare per tutti i diavoli!" La porta cadde con gran fragore e i ladri gridarono: "Il diavolo scende dall'albero!" e tagliarono la corda piantando lì tutto. All'alba, quando i due scesero dall'albero, ritrovarono tutto il loro oro e se lo portarono a casa.
A casa Federico disse: "Adesso, Caterinella, devi metterti a lavorare d'impegno." - "Sì, Richetto," rispose ella, "lo farò. Andrò nel campo a mietere." Quando fu nel campo, Caterinella disse fra s': Mangio o dormo prima di mietere? Be', prima mangerò! Mangiò e mangiando le venne sonno; così si mise a mietere e, mezzo addormentata, tagliò i suoi vestiti: grembiule, gonna e camicia. Quando si svegliò, dopo un sonno profondo, si trovò mezza nuda e disse fra s': "Sono o non sono io? Ah, non sono certo io!" Nel frattempo era calata la notte; Caterinella corse al villaggio, bussò alla finestra del marito e gridò: "Richetto?" - "Cosa c'è." - "Vorrei sapere se Caterinella è in casa." - "Sì, sì," rispose Federico, "starà dormendo." Ella disse: "Allora non sono proprio io," e corse via.
Fuori Caterinella trovò dei lestofanti che volevano rubare. Si avvicinò a loro e disse: "Voglio aiutarvi a rubare." Quelli pensarono che conoscesse le opportunità che offriva il luogo, e accettarono soddisfatti. Ma Caterinella passava davanti alle case e gridava: "Gente, avete qualcosa? Vogliamo derubarvi!" Abbiamo fatto un bell'affare! pensarono i malandrini, e desiderarono disfarsi di Caterinella. Le dissero: "Il parroco ha un campo di rape davanti al villaggio; vacci e raccoglile." Caterinella andò nel campo e incominciò a raccogliere le rape, ma era così pigra che non si raddrizzava mai. Un passante si fermò a guardarla e pensò che fosse il diavolo a scavare fra le rape. Corse in paese dal parroco e disse: "Reverendo, nel vostro campo c'è il diavolo che raccoglie le rape." - "Ah, Dio," rispose il parroco, "ho un piede zoppo e non posso andare a scacciarlo!" Disse l'uomo: "Allora vi porterò in spalla," e lo portò fuori. E, quando arrivarono al campo, Caterinella si raddrizzò, stirandosi. "Ah, il diavolo!" gridò il parroco, e se la diedero a gambe tutti e due; e, per la gran paura, il parroco, con il suo piede zoppo, correva più dritto dell'uomo che l'aveva portato in spalle, con le gambe sane.
Volt egyszer egy ember, János volt a neve; ennek felesége, Kati volt a neve. Mondja egyszer János:
- Hallod-e, Kati, megyek szántani, aztán estére legyen jó vacsora: kolbász s bor melléje. Értetted-e?
- Csak menjen kend, mondotta Kati, olyan vacsorával várom, hogy a király is megtörűlné utána a száját.
Elment János, Kati meg otthon maradott. Egész nap őgyelgett előre, hátra, aztán este felé neki készülődött a vacsorának. Egy nagy darab kolbászt belehajított a lábosba, s hogy elkezdett sisteregni, sustorogni, eszébe jut, hogy bor is kell ám. Uccú, ott hagyta a kolbászt a tűzhelyen, leszaladt a pincébe, csapra ütötte a hordót, az üveget alája tette. Csorgott a bor, már szinte tele is volt az üveg, az ám, de eszébe jut, hátha míg a bort ereszti, a kutya elviszi a kolbászt. Hopp! ott hagyja az üveget, szalad fel a konyhába s hát csakugyan jól sejtette: a kutya éppen szaladt a kolbásszal. Nosza, utána! Szaladt árkon-bokron át, kergette a kutyát, a falún keresztűl, a mezőre ki, még az erdőbe is ki, de szaladhatott, bezzeg nem érte utól. Úgy elfáradt, hogy a nyelve is kilógott, mit volt, mit nem tenni, megfordúlt, nagy lassan hazatámolygott. Útközben jut eszébe, hogy, jaj Istenem, eddig a bor mind elfolyt, mert a csapot nem zárta el. Haza ér, lemegy a pincébe s hát a pince földjén csakúgy folyt a bor: bokáig járt benne! Egy csepp nem sok, annyi sem maradt a hordóban.
- Jaj, Istenem, Istenem, mit csináljak? Mit mond az uram, ha ezt meglátja!? - kesergett, búcsálódott Kati.
Gondol ide, gondol oda, - hopp! megvan. Volt a pincében egy zsák búzaliszt, azzal szépen behintette a pince földjét.
- No lám, mondotta magában, de szép fehér, de szép tiszta most a pince földje! Tudom, megörűl János, ha ezt látja!
Jön haza este felé János s kérdi:
- No, Kati, mi ujság?
- Ó, lelkem uram, renyekedett Kati, kolbászt akartam sütni kiednek, de míg borért jártam, az alatt a kutya elvitte. Utána szaladtam, de az alatt meg a bor mind egy cseppig elfolyt. De ne búsúljon kelmed, mert a pince földjét a búzaliszttel behintettem s most olyan szép, olyan tiszta a pince, akárcsak egy kápolna!
- Kati, Kati, csóválta János a fejét, mikor jő meg az eszed? A kolbászt elviszi a kutya, a bort elfolyatod s az utolsó zsák lisztünkkel behinted a pince földjét. Ó, Kati, Kati!
- Ó, lelkem uram, hát mért nem mondta elébb, hogy mit kell tennem! - sápítozott a félkegyelmű asszony.
Gondolja magában János: ha az asszony ilyen félkegyelmű, mégis csak vigyázni kell, mert különben minden elpusztúl a háznál. Volt neki egy summácska pénze, azt aranyra váltatta s mondta Katinak:
- Né Kati, látod-e. Ezek sárga krajczárok. Beleteszem egy fazékba, kiviszem az istállóba, ott a hídlás alá elásom, de nehogy hozzá merj nyúlni, mert bizony mondom, megkeserűlöd.
- Hát én hogy nyúlnék hozzá! - fogadkozott Kati. - Mit gondol kelmed rólam?
Na, jó, János elásta az aranyait. Telt, múlt az idő, elment János hazúlról s a míg odajárt, beállít két ember Katihoz: fazekat, csuprot, tányért s mit árultak s kérdezték, hogy vesz-e?
- Vennék jó szívvel, - mondotta Kati, - de nincs pénzem. Hanem ha sárga krajcárt elfogadnak, akkor veszek.
- Sárga krajczár? Hadd lássuk!
- Menjenek az istállóba, ott van a hídlás alatt egy fazékban, nekem nem szabad oda mennem.
Hiszen egyéb sem kellett a huncfutoknak, mentek az istállóba, kiásták a fazekat s a tiszta színaranyat zsebrevágták, azzal elillantak, a sok fazekat, meg csuprot ott hagyták. Csak mikor a sok fazék ott maradt, akkor kezdett gondolkozni Kati, hogy hát mit is csinál velök, mert a konyhán volt elég. Mit gondolt, mit nem, valamennyi fazéknak kiütötte a fenekét s sorba felakasztotta a kerítésre, a lécekre s erősen tetszett neki, hogy a kerítést mennyire megszabja, szépíti az a sok fazék, meg csupor.
Haza jön János, látja a fazekakat, kérdi Katit:
- Mit csináltál, Kati?
- Én bizony, lelkem uram, fazekat vettem a sárga krajcárokért, de én nem mentem ám az istállóba, a fazekasok vették ki a hídlás alól s el is vitték.
- Ó, Kati, Kati, mit tettél! Hiszen az színarany volt mind. Ez volt az egész vagyonunk. No, ezt mégsem kellett volna tenned!
- Hát én azt nem tudtam, - mentegetődzött Kati - mért nem mondta kelmed?
No, búsultak, tűnődtek, most már mit csináljanak. Azt mondja Kati:
- Menjünk a tolvajok után. Hátha még utolérjük s megkapjuk az aranyunkat!
- Igazad van, - mondta János - gyerünk a tolvajok után. Tarisznyálj fel kenyeret, vajat, sajtot, hogy legyen mit együnk az úton.
Kati egy nagy tarisznyát tele rakott kenyérrel, vajjal, sajttal, aztán elindúltak. Elől ment János, Kati utána, hátán a tarisznya. Világ sűrű kincseért sem ment volna Kati elől, mert azt gondolta: ha megfordulnak, akkor ő lesz elől s azzal is kevesebbet kell mennie. Hej, de okos asszony volt Kati!
Na, mennek, mendegélnek, egy nagy hegy alá érkeznek, annak neki vágnak, elől János, hátúl Kati. Egyszer csak megáll Kati, nézi, nézi a kerékvágást jobbról, balról s elkezd magában tűnődni, sóhajtozni: - Istenem, Istenem, né hogy kettévágódott a föld s hogy össze-vissza van nyomkodva, - na, ez sem gyógyúl meg világéletében! Megsajnálta a földet s hogy ezentúl ne fájjon neki olyan erősen a keréknyomása, vajjal kikente a kerékvágás mind a két oldalát. Amint a kerékvágást kenegette, a tarisznyából kiesett egy sajt s hopp! gurult le a lejtőn, meg sem állott a hegy aljáig.
Mondja Kati:
- Na, én már egyszer megtettem ezt az útat, többet nem teszem meg, hadd menjen utána egy másik sajt s az hozza vissza!
Kivett egy sajtot a tarisznyából, utána gurította az elsőnek. De bizony a sajtok nem jöttek vissza s Kati utánuk lódított még egyet, hátha hárman, társaságban, szivesebben jőnek vissza. Hiszen várhatta, nem jöttek azok vissza.
- Ej, ej, - tűnődött Kati - hát ezeket mi lelte? Talán bizony a harmadik sajt elvesztette az útat s nem talált rájok? Na, utánuk küldöm a negyediket is.
Utána küldötte a negyediket, aztán az ötödiket, a hatodikat - ennél több nem volt. Várta, várta sokáig s merthogy nem jöttek vissza, ő bizony tovább eredt: nem bolond, hogy utánuk szaladjon!
Eközben János leült egy fa tövében, várta Katit, hogy jöjjön a tarisznyával, mert éhes volt erősen. Jön Kati nagy szuszogva, lihegve, leűl ő is János mellé.
- No, Kati, vedd elé a vajat s a sajtot, falatozzunk.
Vette volna, ha lett volna, de nem volt egyéb száraz kenyérnél.
- Hát a vaj s a sajt hová lett? - kérdé János.
- Ó, lelkem uram, a vajjal megkentem a kerékvágás mindakét oldalát, hátha akkor a kerék nem sérti olyan erősen. Egy sajt legurúlt a lejtőn, a többit utána küldöttem, mindjárt jönnek, lelkem Jánosom.
- Ó, Kati, ezt nem kellett volna tenned!
- Hát mért nem mondotta kigyelmed?
Ha nincs vaj, ha nincs sajt, jó a száraz kenyér is, neki láttak hát a száraz kenyérnek. Amint esznek, eddegélnek, mondja János:
- Ugyan bizony bezártad az ajtót, mikor eljöttünk?
- Nem biz' én, mert kelmed nem mondta.
- No, akkor csak szaladj haza, zárd be az ajtót, s hozz magaddal valami ennivalót.
Haza megy Kati s gondolja magában: - Az én uram bizonyosan nem szereti a sajtot, meg a vajat, majd viszek neki egy tarisznya kökényt s egy korsó ecetet. Az lesz csak a jó.
Tele rakta a tarisznyát kökénnyel, megtöltött egy korsót ecettel, aztán az ajtót kiemelte a sarkából s a vállára vette. Gondolta, ha magával viszi az ajtót, akkor azt senki ki nem nyithatja s be nem mehet a házba. Azzal elindúlt az ura után, de lassan ment, hogyne ment volna lassan, mikor alig birta az ajtót.
- No, sebaj, - gondolta magában - legalább kipihenheti magát az én lelkem Jánosom.
Hát csak ment, mendegélt, nagy szuszogással kiér a hegy tetejére s mondja roppant örvendezéssel Jánosnak:
- No, lelkem uram, itt az ajtó, elhoztam, most már maga is megőrizheti a házat.
- Ó, Kati, Kati, de okos asszony vagy te! - kiáltott fel János. - Most már csak az nem megy be a házba, a ki nem akar. Hát jó, ha már elhoztad, csak hozzad tovább is, vissza nem megyünk.
- Én igen, jó szívvel, - mondotta Kati - csak a tarisznyát, meg a korsót vigye kend, mert az nekem nagyon nehéz!
Elindúltak, mentek, mendegéltek, aztán erdőbe értek, ott keresték a tolvajokat, de nem találták. Eközben beesteledett, fáradtak voltak, álmosak is voltak, néztek erre, néztek arra, hogy hol tölthessék az éjszakát. Ők bizony felmásztak egy fenyőfára s ott szépen elhelyezkedtek. Alig helyezkednek el, jön egy sereg zsivány s éppen az alá a fa alá ülnek le, ahol János, meg Kati üldögélt, ott nagy tüzet raknak s azzal elészedik a mit tél-túl raboltak, hogy megosztozkodjanak rajta. Gondolja magában János: - Hiszen éppen jó helyre jöttetek, majd elbánok én veletek! Szép lassan leereszkedett a fa másik oldalán, a zsebjeit teleszedte kővel: majd azzal agyonveri a zsiványokat. Hát csakugyan egymásután dobálta le a köveket, de egyik sem talált. Megszólal egy zsivány:
- Ugy tetszik nekem, hogy nemsokára virrad, mert a szél hajigálja le a fenyő-almákat.
Ezalatt Kati folyton a vállán tartotta az ajtót, a nyakában a tarisznyát, a kezében a korsót s azt mondja Jánosnak:
- Hallod, lelkem uram, én nem tudom tovább tartani a kökényt, ledobálom.
- Ne, lelkem Katim, ne, mert még észre vesznek a zsiványok.
- Le kell dobnom, lelkem uram, nem bírom tartani tovább.
- Ördög vigye a dolgodat, hát csak dobjad.
Abban a szempillantásban elkezdett potyogni a kökény az ágak közt. Mondja egy zsivány:
- Úgy látszik, ez a fa tele van madárral, mert erősen potyogtatnak ránk.
Egy kevés idő múlva, merthogy erősen nyomta a vállát az ajtó, mondja Kati:
- Jaj, lelkem uram, ki kell öntenem az ecetet is, nem birom tovább.
- Ne öntsd ki, Kati, mert észre vesznek a zsiványok.
- De én nem tudom tovább tartani!
- Ördög vigye a dolgodat, hát öntsd ki!
Azzal kiöntötte az ecetet s az mind egy cseppig a zsiványokra csepegett.
- Esik a harmat, - szólalt meg egyik zsivány.
Egy kis idő múlva megint megszólal Kati:
- Az ajtó nyomná úgy a vállamat? Az lehetetlen! A biz'a mégis az lehet. Lelkem uram, ledobom az ajtót is.
- Ne dobd le, Kati, mert akkor csakugyan észrevesznek a zsiványok!
- Már én dobom, mert tovább nem birom.
- Hát dobjad, gyilkos teremtette, bánom is én!
Még ki sem mondta jóformán, már Kati eleresztette az ajtót, az meg szörnyű zuhanással, csörtetéssel lesuppant a zsiványokra. Hej, lett erre rettentő ijedelem!
- Az ördög, az ördög! - kiabáltak a zsiványok s szaladtak, mintha a szemüket vették volna.
Mikor aztán hírük, nyomuk sem maradt, János is, Kati is leszálltak a fáról, a tenger kincset, mit a fa alatt találtak, felszedték, haza vitték s attól kezdve úgy élt a két félkegyelmü, mint a hal a vízben. Még ma is élnek, ha meg nem haltak.