Il forte Hans


Der starke Hans


C'era una volta un uomo e sua moglie che avevano un solo bambino. Essi vivevano soletti in una vallata deserta. Un giorno la donna andò nel bosco per raccogliere rami secchi e prese con se il piccolo Hans che aveva giusto due anni. Se era agli inizi della primavera, e il piccolino si divertì molto nel vedere tutti i fiori che stavano allora sbocciando. Così che, correndo dall'uno all'altro, Hans e la sua mamma s'inoltrarono un bel pezzo nella foresta. All'improvviso due briganti saltarono fuori da un cespuglio e, afferrati entrambi, li portarono nel cuore del bosco, dove da anni e anni nessuno aveva messo piede. La povera donna li supplicò in ogni modo di lasciarla tornare a casa con il suo piccolo, ma quei due avevano il cuore di pietra e non badarono affatto ai suoi pianti e alle sue preghiere: anzi, la costrinsero ancor più brutalmente a seguirli. Dopo aver camminato per più di due miglia fra rovi e cespugli, giunsero a una rupe in cui si apriva una porta: bussarono e la porta si aprì da sola. S'inoltrarono per un lungo corridoio buio e alla fine giunsero in una vasta caverna illuminata da un gran fuoco che ardeva nel focolare. Alle pareti erano appese spade, sciabole e altre armi che brillavano al bagliore delle fiamme; nel mezzo della caverna c'era una tavola nera intorno a cui altri briganti giocavano a carte. A capotavola sedeva il capo brigante. Costui, non appena vide la donna, si alzò le andò incontro e le disse che, se stava tranquilla e non faceva storie, non le avrebbero fatto alcun male. Volevano solo che badasse alle faccende di casa: se avesse tenuto tutto in ordine sarebbe stata trattata benissimo. Così dicendo le diede da mangiare e le indicò il letto in cui avrebbe dovuto dormire col suo bambino. La donna rimase parecchi anni con quei briganti e Hans divenne grande e forte. La mamma gli raccontava antiche fiabe e gli insegnò a leggere su un vecchio libro di racconti cavallereschi che aveva trovato nella caverna. Quando Hans ebbe compiuto gli undici anni, si fece un grosso bastone con un ramo di abete, lo nascose nel suo letto e si presentò alla madre chiedendole: "Cara mamma, dimmi chi è mio padre, perché devo e voglio conoscerlo." Ma la madre non gli rispose nulla per timore che lo prendesse la nostalgia della casa. Ed ella sapeva bene che i briganti non lo avrebbero lasciato fuggire. Ma le si spezzava il cuore all'idea che il suo Hans non avrebbe più rivisto il padre. La notte, quando i briganti tornarono dalle loro rapine, Hans tirò fuori il suo bastone e, piantatosi davanti al capo, gli chiese: "Io voglio sapere chi è mio padre, e se voi non volete rispondermi vi prendo a legnate quanti siete." Il capo si mise a ridere appioppandogli un tale scapaccione da mandarlo a ruzzolare sotto la tavola. Hans si rimise subito in piedi, ma non disse nulla pensando:?gAspetterò ancora un anno e poi proverò ancora; forse allora me la caverò meglio." Quando l'anno fu trascorso, Hans tornò a prendere il suo bastone, lo lisciò ben bene, osservando con molta soddisfazione che era un'arma solida e adatta al suo scopo. A notte i briganti tornarono e cominciarono a bere un fiasco dietro l'altro, finché rimasero tutti con le teste ciondolanti sulla tavola. Allora Hans prese il bastone e, piantatosi davanti al capo, gli domandò ancora: "Chi è mio padre?" Il capo, invece di rispondergli, gli menò un altro scapaccione che lo fece ruzzolare ancora una volta sotto la tavola; ma Hans fu subito in piedi e cominciò a menare legnate sul capo brigante e su tutti gli altri con tal forza che in breve tutti avevano le braccia e le gambe ammaccate e non potevano muoversi. La madre, frattanto, era rimasta in un angolo della caverna, sbigottita dalla forza e del coraggio di suo figlio. Quando a lui, appena terminata la sua impresa, le corse accanto e disse: "Come vedi non scherzo; adesso voglio sapere chi &egr ave; mio padre."
"Caro Hans" ella rispose, "andiamocene via e cerchiamo finché non lo avremo trovato." Tolse la chiave della caverna al capo, che era tutto intontito, mentre Hans, dopo essersi procurato un grosso sacco, lo riempiva d'oro, d'argento e di tutte le cose preziose che potè trovare, caricandoselo poi in spalla. Lasciarono la caverna, e immaginate quale fu lo stupore di Hans quando uscì dall'oscurità di quell'antro alla luce del giorno e vide gli alberi verdi, i fiori, gli uccelli e il sole che splendeva alto nel cielo azzurro. Attonito si guardava intorno pieno di gioioso sgomento mentre sua madre cercava la strada per tornare alla loro casa di un tempo. Dopo due ore di cammino, la raggiunsero felicemente nella solitaria vallata. Il padre sedeva sulla porta, versò lacrime di gioia nel riconoscere la moglie e nell'udire che Hans, il quale sebbene avesse dodici anni, lo soprastava di tutta la testa, era suo figlio: li credeva morti da tempo. Entrarono in casa, e Hans depose il suo sacco nell'angolo del camino: ma il pavimento non resse al peso, cedette e tutto andò a finire in cantina. "Il cielo ti protegga!" esclamò il padre: "Che succede? Tu mi mandi la casa in rovina." - "Caro babbo," rispose Hans, "non fare i capelli bianchi per questo: nel mio sacco c'è molto di più di quanto occorra per ricostruire una casa."
Padre e figlio cominciarono subito a costruire una nuova casa, e poi acquistarono bestiame e terreni, e ogni settimana andavano al mercato a vendere i prodotti. Hans arava i campi, e quando egli stava dietro l'aratro e lo spingeva, i buoi avevano ben poco da tirare. La primavera seguente Hans disse: "Babbo mio, dammi qualche soldo, e lascia che mi faccia un bel bastone di cinquanta libbre e me ne vada un po' per il mondo." Quando il bastone fu pronto, Hans lasciò la casa paterna e se ne andò di buon passo finché giunse a una grande e folta foresta. A un tratto sentì uno scricchiolio e, guardandosi attorno, vide un abete con il tronco attorcigliato come una corda. Alzando gli occhi, scorse un pezzo d'uomo che, afferrato l'albero, lo stava torcendo come un fuscello. "Ohè," gridò Hans, "che diavolo fate?" - "Ho raccolto un po' di fascine" rispose l'altro, "e adesso mi fabbrico una corda per tenerle insieme."?gQuesto è un tipo in gamba,?g pensò Hans,?gmi può essere utile." - "Lascia quel lavoro e vieni con me." L'uomo scese dall'albero e si avviò con Hans; lo superava di tutta la testa sebbene Hans non fosse davvero piccolo. "Ti chiamerai Torci-abeti" gli disse Hans.
Strada facendo udirono battere e picchiare con tanta forza che la terra tremava ad ogni colpo: poco dopo giunsero a una rupe che un gigante stava frantumando a furia di pugni. Hans gli domandò che cosa facesse e quello rispose: "La notte, quando dormo, orsi, lupi e altre bestiole del genere mi annusano e mi girano attorno impedendomi di dormire; e così ho deciso di costruirmi una casa: come vedi mi sto procurando le pietre."?gBene,?g pensò Hans,?ganche tu mi puoi essere utile." E poi disse al gigante: "Vieni con me e non pensare per ora a costruirti una casa. Ti chiamerai Schianta-rupi." Il gigante acconsentì, e tutti e tre proseguirono per la foresta. Dove passavano, le belve scappavano via atterrite. A sera giunsero a un vecchio castello abbandonato; vi entrarono e si sdraiarono nel salone per dormire. Il mattino seguente Hans scese in giardino e lo trovò tutto incolto e pieno di pruni e di sterpi. Mentre girellava di qua e di la, un gran cinghiale gli si avventò improvvisamente addosso, ma lui gli menò una tal legnata col suo bastone che la bestia stramazzò morta ai suoi piedi. Hans se lo caricò sulle spalle, lo portò a casa, e lo infilò in uno spiedo per arrostirlo, tutto contento del festino che stava per ammannire ai suoi compagni. Dopo aver desinato, i tre amici decisero che ogni giorno, a turno, due di loro sarebbero andati a caccia e il terzo sarebbe rimasto a casa per far cucina: ognuno avrebbe avuto nove libbre di carne. Il primo giorno Hans e Schianta-rupi andarono a caccia e rimase a casa Torci-abeti. Mentre era tutto intento ai fornelli, capitò al castello un vecchietto tutto raggrinzito chiedendo un po' di carne. "Levati dai piedi, vermiciattolo" gli disse il cuoco. "Tu non hai bisogno di carne." Ma aveva appena pronunciato queste parole che, con sua gran meraviglia, lo striminzito ometto gli saltò addosso menandogli una tal carica di pugni che lui non riuscì a pararne uno solo e ruzzolò a terra senza fiato. Solo quando ebbe preso piena vendetta l''ometto se ne andò. Quando gli altri due tornarono dalla caccia, Torci-abeti non disse nulla del vecchietto e dei suoi pugni pensando che, quando sarebbe toccato a loro di rimanere a casa, avrebbero sperimentato direttamente di che cosa si trattava; e questa idea lo divertiva un mucchio. Il giorno dopo, secondo l'accordo, rimase a casa Schianta-rupi a cui capitò esattamente ciò che era capitato al suo compagno: il vecchietto lo pestò di santa ragione perché gli aveva negato un po' di carne. Al ritorno dalla caccia, Torci-abeti, solo a guardare in viso Schianta-rupi, capì subito quello che era successo: ma nessuno dei due disse parola pensando che anche Hans doveva sentire il gusto di quella minestra. Il giorno dopo era la volta di Hans, ed egli si mise a lavorare in cucina di buona lena. Stava appunto lucidando una pentola quando arrivò l'ometto e gli domandò un pezzo di carne senza tanti complimenti.?gE' un povero diavolo," pensò Hans,?ggli darò un po' della mia parte in modo che gli altri non abbiano a rimetterci." E gli allungò un bel pezzo di arrosto. Il nano lo divorò in un battibaleno e ne domandò ancora. Hans, di buon cuore, lo accontentò facendogli notare che, dopo quella bella fetta, poteva dirsi soddisfatto. Ma, poiché il nano continuava a richiederne, Hans concluse: "Dovresti vergognarti a essere così ingordo."
L'irascibile nano cercò subito di saltargli addosso e di pettinarlo come aveva fatto con Torci-abeti e Schianta-rupi, ma aveva scelto male il suo uomo perché Hans con un paio di pugni gli fece ruzzolare tutte le scale del castello. Poi gli corse appresso, ma avendo preso troppo slancio, gli cadde addosso: quando si rialzò, il nano già lontano. Riuscì tuttavia a inseguirlo fin nella foresta e lo vide scivolare dentro una fessura della roccia. Allora si fissò bene in mente il luogo e tornò a casa. Gli altri due, quando tornarono da caccia, si meravigliarono al vederlo così allegro e tranquillo. Egli raccontò quello che era avvenuto durante la loro assenza e allora anch'essi gli raccontarono la loro avventura. "Vi sta bene" disse Hans, canzonandoli, "non dovevate essere così avari. E come si fa, quando si è grandi e grossi come voi, a farsi prendere a pugni da un nano?"
Dopo desinare, presero una cesta e un bastone e si recarono tutti e tre alla caverna in cui era sgattaiolato il nanetto: misero Hans nella cesta e lo calarono giù col suo bravo bastone in mano. Arrivato in fondo all'abisso, egli vide una porta e, apertala, si trovò di fronte una fanciulla più bella che non si possa descrivere: accanto a lei c'era il nano, il quale, appena lo scorse, mostrò i denti soffiando come un gatto arrabbiato. La fanciulla era incatenata e guardava Hans con tanta tristezza che egli ne fu profondamente commosso.?gDevo assolutamente liberarla da questo nano maledetto," pensò. E menò un tal colpo sulla testa del malvagio vecchio, che lo stese morto. Nello stesso momento caddero le catene della fanciulla, e Hans rimase affascinato dalla sua bellezza. Ella gli raccontò di essere una principessa rapita da un barone ribelle e nascosta in quella caverna perché non aveva voluto accettarlo come marito. Il barone stesso le aveva messo a fianco come custode quel nano che l'aveva tormentata in mille modi. Allora Hans mise la fanciulla nella cesta e la fece tirar su; ma, quando la cesta scese ancora, non fidandosi dei compagni, i quali gli avevano già dimostrato la loro falsità non dicendogli nulla del nano, mise nella cesta solo l suo pesante bastone, e fu un buon indovino perché, dopo averla tirata su per un pezzo, i due lasciarono cadere la cesta di schianto e Hans, se ci fosse stato dentro, si sarebbe sfracellato. Ma adesso non sapeva davvero come andarsene da quella caverna, e per quando si guardasse attorno, rimase un pezzo senza sapere che decisione prendere. Mentre andava in su e in giù, si trovò ancora davanti al nano disteso a terra e si accorse che aveva al dito un anello di meraviglioso splendore. Glielo tolse, se lo infilò, e appena lo ebbe stretto un poco udì un fruscio sulla sua testa: guardò in alto e vide due spiritelli che volavano nell'aria dicendogli che adesso egli era il loro signore e invitandolo a esprimere tutti i suoi desideri. Hans a tutta prima rimase di stucco, ma poi chiese di essere riportato alla luce del giorno. Fu immediatamente obbedito e riportato a volo fino all'orlo della caverna; quando però mise piede a terra, non vide nessuno, e anche il castello era stato abbandonato. Torci-abeti e Schianta-rupi erano fuggiti portandosi via la bella fanciulla. Hans diede subito una stretta al suo anello, e gli spiritelli apparvero avvertendolo che i due falsi amici erano già in alto mare: non potè fare altro che correre alla spiaggia, appena in tempo per vedere in lontananza la nave in cui si erano imbarcati i due perfidi compari.pieno di ansia e di furore, saltò in acqua col suo bastone in mano e cominciò a nuotare; ma il peso dell'enorme bastone gli impediva di tener la testa sopra le onde. Stava proprio per annegare quando ricorse ancora al suo anello, e subito gli spiritelli apparvero e lo portarono sulla nave con la velocità di un lampo. Senza perder tempo, Hans cominciò a lavorare con il bastone e diede ai due traditori una meritata lezione, buttandoli quindi in mare. Poi diresse la nave verso la patria della bella principessa, che, nelle mani dei due giganti, aveva passato le più orribili paure, e la restituì ai suoi genitori. Poco dopo Hans sposò la principessa, e le loro nozze avvennero tra splendidi festeggiamenti.
Es war einmal ein Mann und eine Frau, die hatten nur ein einziges Kind und lebten in einem abseits gelegenen Tale ganz allein. Es trug sich zu, daß die Mutter einmal ins Holz ging, Tannenreiser zu lesen, und den kleinen Hans, der erst zwei Jahr alt war, mitnahm. Da es gerade in der Frühlingszeit war und das Kind seine Freude an den bunten Blumen hatte, so ging sie immer weiter mit ihm in den Wald hinein.
Plötzlich sprangen aus dem Gebüsch zwei Räuber hervor, packten die Mutter und das Kind und führten sie tief in den schwarzen Wald, wo jahraus, jahrein kein Mensch hinkam. Die arme Frau bat die Räuber inständig, sie mit ihrem Kinde freizulassen, aber das Herz der Räuber war von Stein; sie hörten nicht auf ihr Bitten und Flehen und trieben sie mit Gewalt an weiterzugehen.
Nachdem sie etwa zwei Stunden durch Stauden und Dörner sich hatten durcharbeiten müssen, kamen sie zu einem Felsen, wo eine Türe war, an welche die Räuber klopften und die sich alsbald öffnete. Sie mußten durch einen langen, dunkelen Gang und kamen endlich in eine große Höhle, die von einem Feuer, das auf dem Herd brannte, erleuchtet war. An der Wand hingen Schwerter, Säbel und andere Mordgewehre, die in dem Lichte blinkten, und in der Mitte stand ein schwarzer Tisch, an dem vier andere Räuber saßen und spielten, und obenan saß der Hauptmann. Dieser kam, als er die Frau sah, herbei, redete sie an und sagte, sie sollte nur ruhig und ohne Angst sein, sie täten ihr nichts zuleid, aber sie müßte das Hauswesen besorgen, und wenn sie alles in Ordnung hielte, so sollte sie es nicht schlimm bei ihnen haben. Darauf gaben sie ihr etwas zu essen und zeigten ihr ein Bett, wo sie mit ihrem Kinde schlafen könnte.
Die Frau blieb viele Jahre bei den Räubern, und Hans ward groß und stark. Die Mutter erzählte ihm Geschichten und lehrte ihn in einem alten Ritterbuch, das sie in der Höhle fand, lesen. Als Hans neun Jahre alt war, machte er sich aus einem Tannenast einen starken Knüttel und versteckte ihn hinter das Bett; dann ging er zu seiner Mutter und sprach: "Liebe Mutter, sage mir jetzt einmal, wer mein Vater ist, ich will und muß es wissen." Die Mutter schwieg still und wollte es ihm nicht sagen, damit er nicht das Heimweh bekäme; sie wußte auch, daß die gottlosen Räuber den Hans doch nicht fortlassen würden; aber es hätte ihr fast das Herz zersprengt, daß Hans nicht sollte zu seinem Vater kommen.
In der Nacht, als die Räuber von ihrem Raubzug heimkehrten, holte Hans seinen Knüttel hervor, stellte sich vor den Hauptmann und sagte: "Jetzt will ich wissen, wer mein Vater ist, und wenn du mir's nicht gleich sagst, so schlag ich dich nieder." Da lachte der Hauptmann und gab dem Hans eine Ohrfeige, daß er unter den Tisch kugelte. Hans machte sich wieder auf, schwieg und dachte: Ich will noch ein Jahr warten und es dann noch einmal versuchen, vielleicht geht's besser.
Als das Jahr herum war, holte er seinen Knüttel wieder hervor, wischte den Staub ab, betrachtete ihn und sprach: "Es ist ein tüchtiger, wackerer Knüttel." Nachts kamen die Räuber heim, tranken Wein, einen Krug nach dem anderen, und fingen an die Köpfe zu hängen. Da holte der Hans seinen Knüttel herbei, stellte sich wieder vor den Hauptmann und fragte ihn, wer sein Vater wäre. Der Hauptmann gab ihm abermals eine so kräftige Ohrfeige, daß Hans unter den Tisch rollte, aber es dauerte nicht lange, so war er wieder oben und schlug mit seinem Knüttel auf den Hauptmann und die Räuber, daß sie Arme und Beine nicht mehr regen konnten. Die Mutter stand in einer Ecke und war voll Verwunderung über seine Tapferkeit und Stärke. Als Hans mit seiner Arbeit fertig war, ging er zu seiner Mutter und sagte: "Jetzt ist mir's Ernst gewesen, aber jetzt muß ich auch wissen, wer mein Vater ist."
"Lieber Hans", antwortete die Mutter, "komm, wir wollen gehen und ihn suchen, bis wir ihn finden." Sie nahm dem Hauptmann den Schlüssel zu der Eingangstüre ab, und Hans holte einen großen Mehlsack, packte Gold, Silber, und was er sonst noch für schöne Sachen fand, zusammen, bis er voll war, und nahm ihn dann auf den Rücken. Sie verließen die Höhle, aber was tat Hans die Augen auf, als er aus der Finsternis heraus in das Tageslicht kam und den grünen Wald, Blumen und Vögel und die Morgensonne am Himmel erblickte. Er stand da und staunte alles an, als wenn er nicht recht gescheit wäre. Die Mutter suchte den Weg nach Haus, und als sie ein paar Stunden gegangen waren, so kamen sie glücklich in ihr einsames Tal und zu ihrem Häuschen.
Der Vater saß unter der Türe, er weinte vor Freude, als er seine Frau erkannte und hörte, daß Hans sein Sohn war, die er beide längst für tot gehalten hatte. Aber Hans, obgleich erst zwölf Jahr alt, war doch einen Kopf größer als sein Vater. Sie gingen zusammen in das Stübchen, aber kaum hatte Hans seinen Sack auf die Ofenbank gesetzt, so fing das ganze Haus an zu krachen, die Bank brach ein und dann auch der Fußboden, und der schwere Sack sank in den Keller hinab.
"Gott behüte uns", rief der Vater, "was ist das? Jetzt hast du unser Häuschen zerbrochen."
"Laßt Euch keine graue Haare darüber wachsen, lieber Vater", antwortete Hans, "da in dem Sack steckt mehr, als für ein neues Haus nötig ist." Der Vater und Hans fingen auch gleich an, ein neues Haus zu bauen, Vieh zu erhandeln und Land zu kaufen und zu wirtschaften. Hans ackerte die Felder, und wenn er hinter dem Pflug ging und ihn in die Erde hineinschob, so hatten die Stiere fast nicht nötig zu ziehen.
Den nächsten Frühling sagte Hans: "Vater, behaltet alles Geld, und laßt mir einen zentnerschweren Spazierstab machen, damit ich in die Fremde gehen kann." Als der verlangte Stab fertig war, verließ er seines Vaters Haus, zog fort und kam in einen tiefen und finstern Wald. Da hörte er etwas knistern und knastern, schaute um sich und sah eine Tanne, die von unten bis oben wie ein Seil gewunden war; und wie er die Augen in die Höhe richtete, so erblickte er einen großen Kerl, der den Baum gepackt hatte und ihn wie eine Weidenrute umdrehte. "He!" rief Hans, "was machst du da droben?" Der Kerl antwortete: "Ich habe gestern Reiswellen zusammengetragen und will mir ein Seil dazu drehen." - Das laß ich mir gefallen, dachte Hans, der hat Kräfte, und rief ihm zu: "Laß du das gut sein, und komm mit mir." Der Kerl kletterte von oben herab und war einen ganzen Kopf größer als Hans, und der war doch auch nicht klein. "Du heißest jetzt Tannendreher", sagte Hans zu ihm.
Sie gingen darauf weiter und hörten etwas klopfen und hämmern, so stark, daß bei jedem Schlag der Erdboden zitterte. Bald darauf kamen sie zu einem mächtigen Felsen, vor dem stand ein Riese und schlug mit der Faust große Stücke davon ab. Als Hans fragte, was er da vorhätte, antwortete er: "Wenn ich nachts schlafen will, so kommen Bären, Wölfe und anderes Ungeziefer der Art, die schnuppern und schnuffeln an mir herum und lassen mich nicht schlafen, da will ich mir ein Haus bauen und mich hineinlegen, damit ich Ruhe habe." - Ei ja wohl, dachte Hans, den kannst du auch noch brauchen, und sprach zu ihm: "Laß das Hausbauen gut sein, und geh mit mir, du sollst der Felsenklipperer heißen." Er willigte ein, und sie strichen alle drei durch den Wald hin, und wo sie hinkamen, da wurden die wilden Tiere aufgeschreckt und liefen vor ihnen weg.
Abends kamen sie in ein altes, verlassenes Schloß, stiegen hinauf und legten sich in den Saal schlafen. Am andern Morgen ging Hans hinab in den Garten, der war ganz verwildert und stand voll Dörner und Gebüsch. Und wie er so herumging, sprang ein Wildschwein auf ihn los; er gab ihm aber mit seinem Stab einen Schlag, daß es gleich niederfiel. Dann nahm er es auf die Schulter und brachte es hinauf; da steckten sie es an einen Spieß, machten sich einen Braten zurecht und waren guter Dinge. Nun verabredeten sie, daß jeden Tag, der Reihe nach, zwei auf die Jagd gehen sollten und einer daheim bleiben und kochen, für jeden neun Pfund Fleisch.
Den ersten Tag blieb der Tannendreher daheim, und Hans und der Felsenklipperer gingen auf die Jagd. Als der Tannendreher beim Kochen beschäftigt war, kam ein kleines, altes, zusammengeschrumpeltes Männchen zu ihm auf das Schloß und forderte Fleisch.
"Pack dich, Duckmäuser", antwortete er, "du brauchst kein Fleisch." Aber wie verwunderte sich der Tannendreher, als das kleine, unscheinbare Männlein an ihm hinaufsprang und mit Fäusten so auf ihn losschlug, daß er sich nicht wehren konnte, zur Erde fiel und nach Atem schnappte. Das Männlein ging nicht eher fort, als bis es seinen Zorn völlig an ihm ausgelassen hatte. Als die zwei andern von der Jagd heimkamen, sagte ihnen der Tannendreher nichts von dem alten Männchen und den Schlägen, die er bekommen hatte, und dachte: Wenn sie daheim bleiben, so können sie's auch einmal mit der kleinen Kratzbürste versuchen, und der bloße Gedanke machte ihm schon Vergnügen.
Den folgenden Tag blieb der Steinklipperer daheim, und dem ging es geradeso wie dem Tannendreher, er ward von dem Männlein übel zugerichtet, weil er ihm kein Fleisch hatte geben wollen. Als die andern abends nach Haus kamen, sah es ihm der Tannendreher wohl an, was er erfahren hatte, aber beide schwiegen still und dachten: Der Hans muß auch von der Suppe kosten.
Der Hans, der den nächsten Tag daheim bleiben mußte, tat seine Arbeit in der Küche, wie sich's gebührte, und als er oben stand und den Kessel abschaumte, kam das Männchen und forderte ohne weiteres ein Stück Fleisch. Da dachte Hans: Es ist ein armer Wicht, ich will ihm von meinem Anteil geben, damit die andern nicht zu kurz kommen, und reichte ihm ein Stück Fleisch. Als es der Zwerg verzehrt hatte, verlangte er nochmals Fleisch, und der gutmütige Hans gab es ihm und sagte, da wäre noch ein schönes Stück, damit sollte er zufrieden sein. Der Zwerg forderte aber zum drittenmal.
"Du wirst unverschämt", sagte Hans und gab ihm nichts. Da wollte der boshafte Zwerg an ihm hinaufspringen und ihn wie den Tannendreher und Felsenklipperer behandeln, aber er kam an den Unrechten. Hans gab ihm, ohne sich anzustrengen, ein paar Hiebe, daß er die Schloßtreppe hinabsprang. Hans wollte ihm nachlaufen, fiel aber, so lang er war, über ihn hin. Als er sich wieder aufgerichtet hatte, war ihm der Zwerg voraus. Hans eilte ihm bis in den Wald nach und sah, wie er in eine Felsenhöhle schlüpfte. Hans kehrte nun heim, hatte sich aber die Stelle gemerkt.
Die beiden andern, als sie nach Haus kamen, wunderten sich, daß Hans so wohlauf war. Er erzählte ihnen, was sich zugetragen hatte, und da verschwiegen sie nicht länger, wie es ihnen ergangen war. Hans lachte und sagte: "Es ist euch ganz recht, warum seid ihr so geizig mit eurem Fleisch gewesen, aber es ist eine Schande, ihr seid so groß und habt euch von dem Zwerge Schläge geben lassen."
Sie nahmen darauf Korb und Seil und gingen alle drei zu der Felsenhöhle, in welche der Zwerg geschlüpft war, und ließen den Hans mit seinem Stab im Korb hinab. Als Hans auf dem Grund angelangt war, fand er eine Türe, und als er sie öffnete, saß da eine bildschöne Jungfrau, nein, so schön, daß es nicht zu sagen ist, und neben ihr saß der Zwerg und grinste den Hans an wie eine Meerkatze. Sie aber war mit Ketten gebunden und blickte ihn so traurig an, daß Hans großes Mitleid empfand und dachte: Du mußt sie aus der Gewalt des bösen Zwerges erlösen, und gab ihm einen Streich mit seinem Stab, daß er tot niedersank.
Alsbald fielen die Ketten von der Jungfrau ab, und Hans war wie verzückt über ihre Schönheit. Sie erzählte ihm, sie wäre eine Königstochter, die ein wilder Graf aus ihrer Heimat geraubt und hier in den Felsen eingesperrt hätte, weil sie nichts von ihm hätte wissen wollen; den Zwerg aber hätte der Graf zum Wächter gesetzt, und er hätte ihr Leid und Drangsal genug angetan.
Darauf setzte Hans die Jungfrau in den Korb und ließ sie hinaufziehen. Der Korb kam wieder herab, aber Hans traute den beiden Gesellen nicht und dachte: Sie haben sich schon falsch gezeigt und dir nichts von dem Zwerg gesagt, wer weiß, was sie gegen dich im Schild führen. Da legte er seinen Stab in den Korb, und das war sein Glück, denn als der Korb halb in der Höhe war, ließen sie ihn fallen, und hätte Hans wirklich darin gesessen, so wäre es sein Tod gewesen. Aber nun wußte er nicht, wie er sich aus der Tiefe herausarbeiten sollte, und wie er hin und her dachte, er fand keinen Rat.
"Es ist doch traurig", sagte er, "daß du da unten verschmachten sollst." Und als er so auf und ab ging, kam er wieder zu dem Kämmerchen, wo die Jungfrau gesessen hatte, und sah, daß der Zwerg einen Ring am Finger hatte, der glänzte und schimmerte. Da zog er ihn ab und steckte ihn an, und als er ihn am Finger umdrehte, so hörte er plötzlich etwas über seinem Kopf rauschen. Er blickte in die Höhe und sah da Luftgeister schweben, die sagten, er wäre ihr Herr, und fragten, was sein Begehren wäre.
Hans war anfangs ganz verstummt, dann aber sagte er, sie sollten ihn hinauftragen. Augenblicklich gehorchten sie, und es war nicht anders, als flöge er hinauf. Als er aber oben war, so war kein Mensch mehr zu sehen, und als er in das Schloß ging, so fand er auch dort niemand. Der Tannendreher und der Felsenklipperer waren fortgeeilt und hatten die schöne Jungfrau mitgeführt. Aber Hans drehte den Ring, da kamen die Luftgeister und sagten ihm, die zwei wären auf dem Meer. Hans lief und lief in einem fort, bis er zu dem Meeresstrand kam, da erblickte er weit, weit auf dem Wasser ein Schiffchen, in welchem seine treulosen Gefährten saßen. Und im heftigen Zorn sprang er, ohne sich zu besinnen, mitsamt seinem Stab ins Wasser und fing an zu schwimmen, aber der zentnerschwere Stab zog ihn tief hinab, daß er fast ertrunken wäre.
Da drehte er noch zu rechter Zeit den Ring, alsbald kamen die Luftgeister und trugen ihn, so schnell wie der Blitz, in das Schiffchen. Da schwang er seinen Stab und gab den bösen Gesellen den verdienten Lohn und warf sie hinab ins Wasser; dann aber ruderte er mit der schönen Jungfrau, die in den größten Ängsten gewesen war und die er zum zweiten Male befreit hatte, heim zu ihrem Vater und ihrer Mutter und ward mit ihr verheiratet, und haben alle sich gewaltig gefreut.