La bara di vetro


O esquife de vidro


Anche un povero sarto può aver successo e giungere ai più altri onori; basta che infili la strada giusta e, soprattutto, che abbia fortuna. Un tale sartorello, svelto e garbato, andava una volta in giro per il mondo; arrivò in un gran bosco e, siccome non sapeva la strada, si smarrì. Si fece notte, e altro non gli restò che cercarsi un giaciglio in quella spaventosa solitudine. Sul morbido muschio avrebbe certo trovato un buon letto, ma la paura delle bestie feroci non gli dava tregua, e alla fine egli dovette decidersi a passar la notte su un albero. Cercò una quercia alta, s'arrampicò fino in cima e ringraziò Dio di aver con sé il suo ferro da stiro, se no il vento che soffiava sulle vette degli alberi l'avrebbe portato via e buttato giù.
Dopo aver passato alcune ore nell'oscurità, non senza una certa paura, vide poco distante brillare un lume; e pensando che là ci fosse la casa di una creatura umana, dove anche lui si sarebbe trovato meglio che fra i rami di un albero, scese cautamente, e andò verso quel lume. E arrivò a una minuscola casetta che era fatta di canne e giunchi intrecciati. Bussò con gran coraggio, la porta si aprì, e al chiarore della luce che si riversava al di fuori, egli vide un vecchietto tutto bianco, che indossava un vestito di stracci colorati. "Chi siete e cosa volete?," domandò il vecchio con voce stridente. "Sono un povero sarto," egli rispose, "che la notte ha sorpreso qui nel bosco; e vi supplico di accogliermi nella vostra capanna fino a domattina." - "Va per la tua strada!," rispose il vecchio, "con vagabondi non voglio aver nulla da fare; cercati un alloggio altrove." Detto questo, fece per scappar dentro, ma il sarto lo trattenne per la falda della giacca e lo pregò con tanto calore che il vecchio, che non era poi così cattivo come voleva sembrare, finì con l'impietosirsi e l'accolse nella sua capanna, dove gli diede da mangiare e poi gli indicò un buon letta in un angolo.
Il sarta era così stanco che non ebbe bisogna d'esser cullato, ma dormì beatamente fino alla mattina; e neanche allora avrebbe pensato ad alzarsi, se non fosse stato svegliato da un gran fracasso improvviso: urla e muggiti penetravano attraverso le pareti sottili della casa. Spinto da un improvviso coraggio, il sarto balzò in piedi, si vestì in fretta e furia e corse fuori. E vide accanto alla casetta un gran toro tutto nero e un bel cervo, che lottavano accanitamente. Si assalivano con tal foga che il terreno ne tremava e l'aria rimbombava dei loro gridi. Fu a lungo incerto quale dei due avrebbe riportato la vittoria: alla fine il cervo cacciò le corna nel ventre del nemico; il toro stramazzò a terra con uno spaventoso muggito, e in pochi colpi il cervo lo finì.
Il sarto, che aveva assistito alla battaglia con profondo stupore, non si era ancor mosso, quando il cervo corse a gran balzi verso di lui e, prima che potesse fuggire, seni altro lo infilzò con le sue grandi corna. Per un pezzo il sarto non riuscì a raccapezzarsi; passava di gran camera per fossi e siepi, monti e valli, prati e boschi. Si aggrappava con tutt'e due le mani alla punta delle corna e si abbandonava al suo destino. Ma gli pareva proprio di volare. Finalmente il cervo si arrestò davanti a una parete di roccia e lo lasciò dolcemente cadere. Il sarto, più morto che vivo, ebbe bisogno di un bel po' di tempo per tomar in sé. Quando si fu un po riavuto, il cervo, che era rimasto fermo accanto a lui, cozzò con tal violenza contro una porta nella roccia che la porta si spalancò.
Ne uscirono lingue di fuoco e poi un gran fumo, e il cervo scomparve. Il sarto non sapeva che fare e dove dirigere i passi, per uscire da quel luogo isolato e tomare fra gli uomini. Mentre se ne stava lì assai indeciso, risonò dalla rupe una voce, e gli gridò: "Entra senza paura, non ti accadrà alcun male." A dir vero, egli esitava, ma, animato da una forza misteriosa, ubbidì alla voce e, per la porta di ferro, arrivò in una gran sala, dove soffitto, pareti e pavimenti erano fatte di lucide pietre quadrate, e ognuna portava incisi dei segni sconosciuti. Osservò tutto con gran meraviglia e stava per uscire, quando sentì di nuovo la voce, che gli diceva: "Mettiti sulla pietra che è in mezzo alla sala, qui ti attende una gran fortuna."
Il suo coraggio eragiunto a tal segno ch'egli obbedì. Sotto i suoi piedi la pietra cedette e sprofondò lentamente. Quando si fermò, il sarto si guardò intomo: si trovava in una sala ampia come la prima. Ma qui c'eran ancora più cose da osservare e da ammirare. Nelle pareti erano scavate delle nicchie dove c'eran vasi di vetro trasparente pieni di spirito colorato o di un fumo azzurrognolo; c'erano sul pavimento, l'uno di fronte all'altra, due grandi casse di vetro, che destarono subito la sua curiosità. In quella a cui s'accostò scorse uno splendido edificio, simile a un castello, circondato da fattorie, stalle e fienili e tante altre belle cose. Tutto era in miniatura, ma lavorato con grandissima cura e bellezza, e pareva intagliato con la massima precisione da una mano maestra.
Contemplando quelle rarità, egli non ne avrebbe mai distolto lo sguardo, se di nuovo la voce non si fosse fatta sentire: l'invitò a voltarsi e a guardar l'altra cassa di vetro. Come crebbe la sua meraviglia, quando scorse là dentro una fanciulla di estrema bellezza. Giaceva come addormentata ed era avvolta nei suoi lunghi capelli biondi come in un mantello prezioso; gli occhi erano chiusi, ma il fresco colore del volto e un nastro che si moveva secondo il respiro, dicevano che la fanciulla era viva. Il sarto contemplava la bella col cuore che gli batteva, quando, all'improvviso, ella aprì gli occhi e al vederlo trasalì con lieto sgomento. "Giusto cielo!," grido, ala mia liberazione è vicina! Su, presto, presto, aiutami a uscir dalla mia prigione: se levi il chiavistello di questa bara, l'incanto è rotto, II sarto ubbidì senza esitare; e subito ella sollevò il coperchio di vetro, uscì dalla bara e corse in un angolo della sala, dove si avvolse in un ampio mantello. Poi si mise a seder su una pietra, ordinò al giovane di avvicinarsi e, dopo averlo amorosamente baciato sulla bocca, disse: "Mio liberatore tanto sospirato, il buon Dio ti ha condotto a me e ha posto fine alle mie pene. Il giorno stesso in cui queste hanno termine, deve cominciar la tua felicità, tu sei lo sposo che il Cielo mi ha destinato; amato da me e colmo d'ogni bene terreno, passerai la vita in tranquilla gioia. Siediti e ascolta la mia storia!
Io sono la figlia di un conte, e sono molto ricca. I miei genitori morirono che ero ancora in tenera età e nel testamento mi raccomandarono al mio fratello maggiore, dal quale fui allevata. Ci amavamo tanto, e, andavamo così d'accordo nei gusti e nel modo di pensare, che entrambi decidemmo di non sposarci mai e di restare insieme fino alla morte. In casa nostra non mancava la compagnia: vicini e amici venivano spesso a trovarci e tutti erano accolti con la migliore ospitalità. E così fu che una sera arrivò nel nostro castello un cavaliere sconosciuto, e col pretesto di non potere ormai raggiungere il villaggio più vicino, ci chiese ricovero per la notte. Il suo desiderio fu da noi soddisfatto con premurosa sollecitudine, e durante la cena egli c'intrattenne assai piacevolmente con la sua conversazione e con vari racconti. Mio fratello ne fu così rallegrato che lo pregò di fermarsi da noi un paio di giorni, e, dopo qualche esitazione, egli acconsentì. Ci alzammo da tavola soltanto a notte tarda: all'ospite fu assegnata una camera, e io, stanca com'ero, mi affrettai a consegnare le membra alle morbide piume. Mi ero appena assopita che mi svegliarono le note di una musica dolcissima. Non riuscendo a capire donde venisse, volli chiamar la mia cameriera, che dormiva nella stanza attigua; ma, con mio grande stupore, mi accorsi che una forza misteriosa mi aveva tolto la parola, come se un incubo gravasse sul mio petto: ero incapace di emettere il più lieve suona. Intanto, alla luce della lampada notturna, vidi il forestiero entrar nella mia camera, che pure era ben chiusa da due porte. Egli mi s'accostò e disse che, grazie alle virtù magiche di cui disponeva, aveva ottenuto che risonasse quella musica soave per svegliarmi, e ora lui stesso poteva attraversare porte ben chiuse, con l'intento di offrirmi il suo cuore e la sua mano. Ma la mia ripugnanza per le sue arti magiche era tale, che non lo degnai di una parola. Per un po' egli non si mosse, probabilmente in attesa di una decisione a lui favorevole; ma siccome continuavo a tacere, dichiarò con rabbia che si sarebbe vendicato, e avrebbe trovato il mezzo di punire il mio orgoglio; e abbandonò la stanza. lo passai la notte in estrema angoscia, e mi assopii soltanto verso il mattino. Quando mi svegliai, corsi nella stanza di mio fratello per informarlo di quel che era accaduto, ma non lo trovai, e il cameriere mi disse che, allo spuntar del giorno, era andato a caccia col forestiero.
Ebbi subito un cattivo presentimento. Mi vestii in fretta, feci sellare il mio cavallo favorito e, accompagnata soltanto da un servo, corsi verso il bosco. Il servo stramazzò col cavallo, che si era rotto una zampa, e non potè più seguirmi. lo continuai la mia strada senza fermarmi, e dopo qualche minuto vidi il forestiero venirmi incontro, con un bel cervo, ch'egli teneva al laccio. Gli domandai dove avesse lasciato mio fratello e come avesse preso quel cervo, che aveva dei grandi occhi da cui scorrevan le lacrime. Invece di rispondermi, egli scoppiò a ridere fragorosamente. lo m'infuriai, estrassi una pistola e la scaricai contro quel mostro; ma il colpo rimbalzò dal suo petto e colpì alla testa il mio cavallo. Caddi a terra, e il forestiero mormorò alcune parole, così che persi la conoscenza.
Quando ripresi conoscenza, mi sono trovato in questa grotta sotterranea in una bara di vetro. Il mago è apparso ancora una volta ha detto che si voltò mio fratello in un cervo, il mio castello con tutti gli accessori sono diminuite in altro petto di vetro, e la mia trasformato in fumo, la gente avrebbe vietato in bottiglie di vetro. Volevo aggiungere che io il suo desiderio ora, quindi sarebbe facile mettere tutto torna nel suo stato precedente, ha solo bisogno di aprire i vasi, e tutto sarebbe tornato alla sua forma naturale. Gli ho risposto come poco come la prima volta. Egli scomparve, lasciandomi nella mia prigione, dove ero sopraffatto da un sonno profondo. Tra le immagini che passavano davanti alla mia mente, era il più confortante che un giovane uomo è venuto e mi ha salvato, e quando oggi ho aperto gli occhi, così ti vedo e vedo il mio sogno realizzato. Aiutami a realizzare le cose che sono successe in quelle visioni. La prima è che eleviamo la cassa di vetro in cui il mio castello è su quel vasto pietra.
La pietra, quando si lamentava, sollevato con la giovane donna e il giovane uomo in altezza e rosa attraverso l'apertura nel soffitto nella stanza superiore, dove potevano quindi facilmente raggiungere l'esterno. Qui la fanciulla aprì il coperchio, ed è stato meraviglioso a vedersi come il castello, le case e fattorie allungati e cresciuto nella più grande rapidità alla dimensione naturale. Sono tornati di nuovo alla caverna sotterranea e lasciato i bicchieri pieni di fumo dal orso pietra. Appena aveva aperto la bottiglia la signora in modo che il fumo blu è uscito e ha trasformato in persone che vivono, in cui la donna ha riconosciuto i suoi servi e la sua gente. La sua gioia era ancora ulteriormente aumentata quando suo fratello, che aveva ucciso il mago del toro, in forma umana è venuto fuori dal bosco, e anche lo stesso giorno la fanciulla, in conformità con la loro promessa, la mano felice di Schneider presso l'altare.
Nunca se diga que um pobre alfaiate não pode ter sucesso na vida e, até mesmo, alcançar honrarias muito elevadas; basta que ele tope com o caminho certo e, sobretudo, que tenha sorte para vencer como os outros.
Um certo alfaiatinho, esperto, maneiroso, gentil, resolveu um dia correr mundo. Depois de muito andar, chegou a uma grande floresta e, não conhecendo o caminho, perdeu-se lá dentro. Chegou a noite e ele não teve outro remédio senão procurar abrigo naquela horrível solidão.
Teria, certamente, boa cama no musgo fofo, mas o terrível medo das feras não o deixava sossegado, e acabou por decidir-se a passar a noite em cima de uma árvore.
Escolheu um carvalho bem alto, trepou até à ponta do galho e agradeceu a Deus por ter trazido consigo o seu ferro de engomar; do contrário, o vento que soprava entre as copas das árvores, o teria carregado para longe.
Depois de passar algumas horas na escuridão, batendo os dentes de medo, avistou não muito longe dali uma luzinha a brilhar; calculou que se tratava de uma luz provinda da habitação de um ser humano, onde certamente estaria bem melhor do que encarapitado no galho de árvore; então desceu, cautelosamente, e dirigiu os passos na direção da luz.
Tendo andado um pouco, chegou diante de uma casinha feita de juncos e caniços entrelaçados. Bateu corajosamente à porta, que logo se abriu, e, à claridade da luz que se projetava para fora, viu um anão bem velhinho, vestido com uma roupa de várias cores.
- Quem sois e o que desejais? - perguntou o velhinho com voz estridente.
- Sou um pobre alfaiate, - respondeu ele, - que foi surpreendido pela noite em plena floresta. Venho pedir-vos a caridade de um abrigo até amanhã cedo, na vossa choupana.
- Segue o teu caminho, - respondeu grosseiramente o velho; - não quero amolações com vagabundos; vai procurar abrigo noutro lugar.
Com isso fez menção de retirar-se e fechar a porta, mas o alfaiate segurou-o pela manga e tão calorosamente suplicou, que o velho, que no fundo não era tão mau como se mostrava, acabou por comover-se e o recebeu na choupana. Deu-lhe o que tinha para comer e, em seguida, indicou-lho num canto uma boa cama, a fim dique descansasse até ao dia seguinte.
O alfaiatinho estava tão moído de cansaço que não teve necessidade de ser embalado; ferrou no sono e dormiu gastasamente até o dia claro, e não teria pensado em levantar-se se não fora um grande escarcéu que vinha de fora e que o assustou. Ouvia-se, através das paredes; finas da choupana, gritas, urros e um forte pateado. Movido por um impulso de coragem, o alfaiate pulou da cama, vestiu-se depressa e correu para fora. Em frente da choupana, deparou com estranho espetáculo: um grande touro, todo preto, lutando encarniçadamente com um belo veado. Investiam um contra o outro tão furiosamente que até estremecia a terra e os rugidos enchiam o espaço.
O alfaiate quedou-se bom pedaço de tempo a olhar, sem poder imaginar qual dos dois sairia vitorioso: por fim, o veado enterrou os chifres no ventre do antagonista e o touro, soltando um espantoso mugido, estrebuchou e caiu estendido no chão. Com mais algumas valentes chifradas, o veado deu cabo dele.
O alfaiate, paralisado de espanto, assistira à luta sem fazer um gesto e estava aí parado quando, com uma rapidez incrível, o veado correu para ele e, antes que tivesse tempo de fugir, sentiu-se preso entre as forquilhas do seus chifres.
Passou-se bastante tempo antes que o alfaiate se refizesse do susto. O veado, entretanto, corria a toda velocidade através de valas e sebes, de montes e charnecas, de prados e bosques e o pobre alfaiate, meio morto de medo, segurava-se fortemente com as duas mãos nos chifres dele, completamente entregue ao seu destino. E a impressão que tinha era de estar voando.
Até que, por fim, o veado se deteve diante da parede abrupta de uma rocha e o deixou cair suavemente ao chão. O alfaiate, mais morto que vivo, precisou de algum tempo para recuperar o uso da razão. Quando, por fim, voltou completamente a si, o veado, que ficara junto dele, deu violenta chifrada contra uma porta dissimulada na rocha, escancarando-a; e dessa abertura saíram línguas de fogo e densa fumaça, no meio da qual o veado desapareceu.
O alfaiate ficou aí, sem saber o que fazer e nem para que lado dirigir os passos, pois queria sair daquele ermo e voltar novamente para o meio dos homens. Estava ele assim, indeciso, sem saber que resolução tomar, quando de dentro da rocha ressoou uma voz, dizendo-lhe:
- Entra, não tenhas medo, não te acontecerá mal nenhum.
Para dizer a verdade, ele hesitava em atender ao convite mas, de repente, como que impelido por força misteriosa, ele obedeceu à voz e, entrando por uma porta de ferro, foi dar a uma enorme sala, onde teto, paredes e pavimentos eram todos feitos de luzidas pedras quadradas; em cada uma dessas pedras havia gravados sinais para ele desconhecidos.
O alfaiate observou tudo muito admirado e já se dispunha a sair quando ouviu, novamente, a mesma voz dizer:
- Coloca-te bem em cima da pedra que está no centro da sala; grande felicidade te está reservada.
A coragem do alfaiate tinha atingido tão elevado grau que ele obedeceu sem pestanejar. Sob os pés sentiu a pedra mover-se e afundar lentamente. E, quando ela se deteve, o alfaiate olhou em volta e viu-se numa sala tão ampla quanto a anterior.
Nesta sala, porém, havia muito mais o que observar e admirar. Nas paredes havia uma porção de nichos, nos quais estavam arrumados vasos de vidro transparente, cheios de um líquido colorido e de fumaça azulada. No pavimento, um colocado diante do outro, estavam dois esquifes de vidro, que logo lhe despertaram a atenção. Aproximou-se de um deles e viu que encerrava um esplêndido edifício parecido com um castelo, tendo em volta diversas construções, cavalariças, celeiros e tudo o que faz parte de um rico castelo. Essas coisas todas eram muito minúsculas, mas trabalhadas com infinito primor e graça; tudo parecia ter sido cinzelado por mão de mestre, com a máxima perfeição.
Empolgado por aquelas raridades, ele não teria despregado o olhar delas se a voz não tomasse a ressoar, convidando-o, desta vez, a virar-se e contemplar, também, o outro esquife de vidro.
Impossível dizer até que ponto aumentou a sua admiração, quando viu dentro dele uma jovem surpreendentemente bela! Dir-se-ia que ela estava adormecida, envolta em maravilhosos e longos cabelos dourados, como que num manto precioso! Tinha os olhos fechados, mas o colorido fresco do rosto e uma fita, que se movia com a respiração, indicavam que ela estava viva.
Com o coração a pulsar fortemente, o alfaiate quedava-se a contemplar embevecido a linda jovem quando, repentinamente, ela abriu os olhos. Ao vê-lo ai ao seu lado, ela estremeceu de doce enleio e exclamou:
- Justo céu! A minha libertação está chegando! Depressa, depressa; ajuda-me a sair desta prisão. Se conseguires puxar o ferrolho que fecha este esquife, logo cessará o encanto.
Sem hesitar um minuto sequer, o alfaiate puxou o ferrolho; a moça levantou depressa a tampa de vidro e saiu do esquife, correndo para um canto da sala. Então, envolveu-se num rico manto e sentou-se numa pedra. Estendeu a mão ao rapaz, que logo se aproximou e, depois de beijá-lo nos lábios, disse-lhe:
- Meu libertador, tão longamente esperado! O céu misericordioso enviou-te para que pusesses termo aos meus sofrimentos. No mesmo dia em que estes terminarem, começará a tua felicidade, pois tu és o noivo que me foi destinado pelo céu. Serás muito amado, possuirás todos os bens terrenos e tua vida decorrerá na mais suave felicidade. Agora senta-te aqui e ouve a minha história.
"Eu sou filha de um opulento conde e imensamente rica. Meus pais faleceram, deixando-me na mais tenra idade; no seu testamento, recomendaram-me a meu irmão mais velho, em cuja casa fui criada. Nós dois nos amávamos com grande ternura e combinávamos tão bem quanto aos gostos e quanto à maneira de pensar, que decidimos ambos nunca nos casar e viver juntos até que a morte nos separasse.
"Em nossa casa jamais faltava boa companhia: vizinhos e amigos vinham frequentemente visitar-nos, sendo todos recebidos com a maior cordialidade.
Assim, pois, aconteceu que uma tarde chegou ao nosso castelo um cavaleiro desconhecido e, sob pretexto de que já não lhe era possível alcançar nesse dia a próxima aldeia, pediu que lhe déssemos pousada por uma noite. O pedido foi por nós atendido com solícita cortesia e, durante o jantar, ele nos entreteve muito agradavelmente com variada conversação e narrativas. Meu irmão ficou tão encantado que o convidou a permanecer alguns dias conosco; após breve hesitação ele anuiu.
"Quando saímos da mesa já ia tarde a noite; foi indicado um bom quarto ao hóspede e eu, cansada como estava, apressei-me em estender os membros no meu fofo leito. Não tardei a adormecer, mas logo fui despertada por suavíssima música, cujo som eu não conseguia compreender de onde provinha; quis apelar para a minha camareira que dormia no quarto ao lado mas, com grande espanto, senti que força misteriosa me impedia de falar. Como se um peso me comprimisse o peito, sentia-me literalmente impossibilitada de emitir o mais leve som.
"Nisto, à pequena claridade da lâmpada de cabeceira, vi o forasteiro introduzir-se no meu quarto, que estava bem fechado por duas portas. Ele aproximou-se de mim e disse que, graças às forças mágicas de que dispunha, fizera ressoar aquela música deliciosa com o fim de me despertar e agora vinha em pessoa, penetrando através das portas trancadas, com a intenção de oferecer- me o coração e obter a minha mão. Mas, tão grande era a minha aversão pelas suas artes mágicas, que não lhe dei a honra de uma resposta. Ele ficou algum tempo imóvel, aguardando, sem dúvida, resposta favorável; eu, porém, continuei calada. Então ele declarou muito irritado, que se vingaria e acharia o meio de punir cruelmente o meu orgulho. Tendo dito estas palavras, retirou-se do quarto por onde viera.
"Inútil dizer que passei a noite em apreensão tremenda; só consegui cochilar um pouco aí pela madrugada. Quando despertei, corri depressa ao quarto de meu irmão para informá-lo do ocorrido, mas não o encontrei e o criado disse-me que saira para caçar logo ao raiar do dia, em companhia do forasteiro.
"Assaltou-me, logo, um triste pressentimento. Vesti-me o mais depressa possível, mandei selar o cavalo e, acompanhada somente por um escudeiro, galopei velozmente para a floresta. O criado foi lançado fora da sela em consequência da queda do cavalo, que fraturou a perna, por isso não pôde mais me acompanhar. Então continuei galopando sem deter-me e, depois de alguns minutos, vi o forasteiro aproximando-se de mim e trazendo um belo veado preso ao laço.
"Perguntei-lhe, imediatamente, onde havia deixado meu irmão e como havia apanhado aquele veado, de cujos olhos dolorosos escorriam lágrimas. Ao invés de responder, o homem soltou uma gargalhada. Furiosa com aquela atitude, saquei da pistola e descarreguei-a à queima-roupa naquele monstro; mas a bala ricocheteou batendo em seu peito e veio atingir em cheio a cabeça do cavalo. Fui lançada ao chão; nesse momento, o desconhecido murmurou algumas palavras e eu perdi completamente os sentidos.
"Quando voltei a mim, encontrei-me dentro de um esquife de vidro, nesta caverna subterrânea. O necromante apareceu ainda uma vez, contou-me que havia transformado meu irmão naquele cervo que levava preso ao laço, que havia reduzido a proporções minúsculas o meu castelo com todos os seus pertences, encerrando-o noutro esquife de vidro; e que havia transformado os meus criados em fumaça e os havia aprisionado em vasos de vidro. Se eu me submetesse, docilmente, à sua vontade, faria facilmente voltar todas as coisas ao estado normal; só teria de destapar os vasos para que tudo retomasse o verdadeiro aspecto. Mantive-me calada, tal como fizera da primeira vez. Ele, então, desapareceu, abandonando-me nesta prisão, onde fui acometida por sono letárgico.
"Entre as imagens que, em sonho, via perpassar pela mente, havia também a consoladora imagem de um jovem que viria, sem tardar, libertar-me. E eis que hoje, ao abrir os olhos, deparei contigo e logo compreendi que meu sonho se tornava realidade! Ajuda-me a realizar todas as outras coisas vislumbradas em sonho. Antes de mais nada, temos de colocar sobre aquela pedra larga o esquife de vidro que tem encerrado o meu castelo.
Assim que a pedra recebeu o peso do esquife, ergueu- se com o rapaz e a jovem e, pela abertura do teto, chegou à sala superior, onde facilmente conseguiram sair para fora. Então a jovem levantou a tampa e foi maravilhoso ver como o castelo, as casas e demais construções iam aumentando e readquirindo o verdadeiro tamanho.
Depois, os dois jovem voltaram ao interior da caverna e fizeram a pedra carregar para cima os vasos cheios de fumaça. Conforme eram destapados pela moça, a fumaça saía impetuosamente e se transformava em seres vivos, nos quais ela reencontrou todos os criados e sua gente.
Mas a alegria atingiu o auge quando ela viu surgir o irmão que, tendo matado o necromante sob a forma de touro, recuperara o verdadeiro aspecto e agora vinha ao seu encontro.
Cumprindo a promessa, ela, no mesmo dia, ao pé do altar, deu a mão ao alfaiate felizardo.