Il re di macchia


A carriça (Rei da capoeira)


Nei vecchi tempi, ogni cosa aveva un senso, un suono ed un significato. Il martello del fabbro risuonava e gridava: "bat-ti-lo, bat-ti-lo." E la pialla del falegname, frusciando faceva: "tru-cio-li, tru-cio-li." E quando il mulino con la sua ruota cominciava a battere, ciò voleva dire: "Aiutami-buon-dio, aiutami-buon-dio." E il mugnaio era un imbroglione e lo metteva in moto, il mulino parlava chiaro e diceva: "chi-è-là, chi-è-là." Poi in fretta rispondeva: "il mugnaio, il mugnaio." E poi in frettissima: "ruba svelto, ruba svelto, di un ottavo tre settimi."
A quel tempo anche gli uccelli avevano un linguaggio, e tutti li capivano. Oggi si sente solo cinguettare, squittire, zuffolare, e qualche volta una musica senza parole. Ed ecco che gli uccelli si misero in testa di non restar più senza capo e di eleggersi un re. Solo uno era contrario, la pavoncella, libera era vissuta e libera voleva morire, e gridava affannosamente volando qui e là. "Via di qui, via di qui." Si rifugiò nelle paludi solitarie ed abbandonate, e non si fece più vedere dai suoi simili.
Ora gli uccelli volevano discutere la cosa e una bella mattina di maggio si radunarono dai boschi ai campi. C'erano aquile, fringuelli, civette e cornacchie, allodole e passeri - non mi va di nominarli tutti. Vennero persino il cuculo e l'upupa, il suo sagrestano, come si dice, perché si fa sempre sentire un paio di giorni prima. Agli stormi si unì anche un piccolo uccellino, che ancora non aveva nome. La gallina, che non sapeva niente di tutta la faccenda, molto si stupì di quella grande assemblea: "Co-co-co-cosa c'è?" ma chiocciò il gallo la tranquillizzò e le disse: "son-tutti-ricchi-chi," e poi le raccontò quello che volevano fare. Gli uccelli stabilirono che avrebbero fatto re chi volava più in alto. All'udirli, una raganella, che se ne stava fra i cespugli, li mise in guardia gridando: "bagnato, bagnato, bagnato" e voleva dire che ci sarebbero state lacrime. Ma la cornacchia disse: "gra-cida, gra-cida, tutto sarebbe filato liscio." Stabilirono di levarsi a volo proprio in quel mattino così bello, subito, perché poi nessuno protestasse e dicesse: "Sarei arrivato anch'io così alto, ma si era fatto sera e non ho potuto." Ad un dato segnale, tutto lo stormo prese il volo. Dal campo si alzò la polvere e fu tutto un frullo d'ali, un fremito ed un battito. Pareva che passasse una nuvola nera. Presto gli uccelli più piccoli rimasero indietro, non erano più in grado di proseguire e ricaddero a terra. I più grandi ressero più a lungo, ma nessuno fu in grado di gareggiare con l'aquila, che volava tanto in alto che avrebbe potuto cavar gli occhi al sole. Quando vide che gli altri non potevano più raggiungerla pensò: "Perché volare ancora più in alto? Tanto sei tu il re." E prese a scendere. Gli uccelli di sotto le gridavano ad una voce: "Tu sarai il nostro re, nessuno è volato più in alto." - "Ed io?," strillò l'uccellino senza nome, che si era nascosto fra le piume, sul petto dell'aquila. E siccome non era stanco, prese il volo e volò così in alto che gli riuscì di vedere Dio sul trono. Ma quando fu arrivato lassù, ripiegò le ali, discese e strillò con una vocina sottile: "Il re sono io, il re sono io."
"Tu nostro re?" gridarono gli uccelli con rabbia. "Tu hai circondarono dal trucco e astuzia!" Così hanno fatto un'altra condizione. Egli deve essere il re che potrebbe scendere più basso della terra. Come l'oca ha fatto patta in giro con il suo ampio petto quando era ancora una volta sulla terra! In quanto tempo il gallo graffiato un buco! L'anatra è venuto fuori il peggio di tutto, per lei saltò in un fosso, ma slogato le gambe, e dondolando via ad un laghetto vicino, gridando: "Cheating, barare!" Il piccolo uccello senza un nome, tuttavia, cercò un mouse-buco, scivolò dentro, e gridò fuori di esso con la sua piccola voce: "Io sono il re! Io sono il re!"
"Tu nostro Re!" gridarono gli uccelli ancora più rabbia. "Credi tu la tua astuzia prevarrà?" Sono determinati a tenerlo prigioniero nel foro e lo affamare. Il gufo è stato posto come sentinella di fronte ad essa, e non era quello di lasciare che il furfante se avesse alcun valore per la sua vita. Quando fu sera tutti gli uccelli sentivano molto stanchi dopo esercitare le loro ali così tanto, così andarono a letto con le loro mogli e figli. Il gufo rimase in piedi solo con il mouse buche, guardando fermamente in esso con i suoi grandi occhi. Nel frattempo anche lei, si era stancato e ho pensato a se stessa, "Si potrebbe certamente chiudere un occhio, si continua a guardare con l'altro, e il piccolo miscredente non potrà uscire dal suo buco." Così chiuse un occhio, e con l'altra guardava dritto al topo buche. Il piccino ha messo fuori la testa e guardò, e voleva scivolare via, ma il gufo si fece avanti subito, e si ritrasse di nuovo la testa. Poi il gufo aprì un occhio nuovo, e chiuse l'altro, con l'intenzione di chiuderli a turno per tutta la notte.
Ma quando la prossima chiuse un occhio, ha dimenticato di aprire l'altro, e non appena entrambi i suoi occhi erano chiusi si addormentò. Il piccino presto osservato che, e scivolò via.
Da quel giorno in poi, il gufo non ha mai avuto il coraggio di mostrarsi alla luce del giorno, perché se lo fa gli altri uccelli inseguire lei e cogliere le penne fuori. Lei vola solo di notte, ma odia e persegue i topi perché fanno questi buchi brutti. Il piccolo uccello, troppo, è molto riluttante a farsi vedere, perché ha paura che gli costerà la vita se viene colto. Ruba circa nelle siepi, e quando egli è abbastanza sicuro, a volte piange, "Io sono il re," e per questo motivo, gli altri uccelli lo chiamo in derisione, 'il re delle siepi'. Nessuno, però, era così felice come l'allodola di non dover obbedire al piccolo re. Non appena compare il sole, lei sale in aria e grida: "Ah, che bello che è! Bella che è! Bello, bello! Ah, che bello che è!"
Em tempos muito, muito remotos, cada som tinha o seu sentido e significado. Assim, quando o martelo do ferreiro batia na bigorna, dizia:
- Bate, bate, bate!
E a plaina do carpinteiro, roçagando a madeira, dizia:
- Maravalhas, maravalhas, maravalhas!
Quando a roda do moinho começava a bater na água, chiava assim:
- Socorro, Jesus! socorro, Jesus!
E se o moleiro era sonegador, quando punha em movimento a roda do moinho, esta, em alemão clássico, falava pausadamente:
- Quem está aí? quem está aí?
E, mais depressa, respondia:
- O moleiro, o moleiro!
E, mais apressadamente ainda, murmurava:
- Rouba que te rouba, rouba depressa, tira um sexto!
Naqueles bons tempos, também os pássaros tinham uma linguagem compreensível a todos. Ao passo que. hoje em dia, apenas se ouve chilrear, regougar e assobiar, quando muito, uma ou outra vez, alguma música sem palavras.
Eis que, nessa ocasião, os pássaros decidiram não continuar mais sem um chefe que os orientasse; então resolveram eleger um rei. Todos estavam de acordo, apenas um se opôs: o fradinho. Tinha sempre vivido livre e livre queria morrer; e muito contrariado, saltava de um lado para outro, repetindo:
- Vou-me embora, vou-me embora, vou-me embora!
Retirou-se para os pantanais inóspitos e solitários e,
nunca mais, mostrou-se aos outros pássaros.
Ora, tendo resolvido cuidar do assunto, os pássaros, numa bela manhã de primavera, saíram dos bosques e florestas para uma assembleia geral: águias e tentilhões, corujas e gralhas, andorinhas e pardais, enfim, para que nomeá-los todos? Compareceram em massa.
Até mesmo o cuco veio junto com a pòga, sem sacristão, assim denominada porque se faz ouvir sempre com alguns dias de antecedência; e no bando veio juntar-se, também, um minúsculo passarinho, que ainda não tinha nome.
A galinha, que não tinha ouvido nada sobre o assunto, ficou espantada ao ver aquela grande reunião.
- O que é, o que é, o que é que estão fazendo? cacarejou.
Mas o galo tratou de tranquilizar a sua galinhinha, dizendo-lhe:
- O cuco é rico, o cuco é rico! - depois contou-lhe o que premeditavam ôles.
Assim, pois, os passarinhos estabeleceram que seria rei aquele que chegasse a voar mais alto que todos. Uma pobre matraca, sentada ali por perto num galho, ouvindo o que eles combinavam, tentou preveni-los dizendo:
- Quanta água, quanta água, quanta água! - querendo dizer com isto que muitas lágrimas seriam vertidas.
Mas a gralha interrompeu-a:
- Qual nada, qual nada; - tudo haveria de correr em paz.
Decidiram fazer a prova mesmo naquela linda manhã de primavera, sem mais delongas, a fim de que ninguém dissesse depois:
- Eu teria voado muito mais alto, mas veio a noite e me impediu!...
Portanto, quando foi dado o sinal, o bando todo lançou-se ao espaço voando arrojadamente. Do campo, levantou-se uma nuvem de pó e foi tudo um imenso revoar, adejar, um farfalhar de asas que até parecia ter- se o céu coberto de um nuvem escura.
Logo, porém, os pássaros menores foram ficando para trás; não tendo forças para continuar na carreira, despencaram do alto e pousaram no chão. Os maiores aguentaram mais tempo; nenhum porém conseguiu competir com a águia, pois esta voou a tal altura que quase chegou a arrancar os olhos ao sol. Vendo que os outros não a podiam alcançar, ela disse de si para si: "Para que voar mais alto? não resta dúvida de que a rainha és tu!" e começou a descer. Os outros, que estavam lá embaixo, gritaram a uma só voz:
- Serás a nossa rainha; ninguém conseguiu voar mais alto do que tu! Nós todos te reconhecemos como nossa rainha!
- Fora eu! - gritou o passarinho sem nome, surgindo do seu esconderijo entre as penas do peito da águia.
E como não estava cansado, alçou voo, atingindo tal altura que logrou ver Deus sentado no trono. Tendo chegado àquela imensa altura, dobrou, calmamente, as asas, desceu e gritou aos outros com uma vozinha estridente:
- O rei sou eu, o rei sou eu!
- Tu, nosso rei? - gritaram revoltados os pássaros; - se chegastes até lá foi só por meio de artimanhas e astúcias!
Reuniram-se todos e impuseram outra condição. Seria rei aquele que conseguisse aprofundar-se mais na terra.
Ah! com que afinco o ganso se rebolou, esfregando no chão o largo peito! Com que ligeireza o galo se pôs a esgaravatar fazendo um buraco! Nem se pode dizer.
A pata foi quem se saiu muito mal; ao pular dentro de um valo, destroncou as duas pernas e saiu cambaleando até uma lagoa por perto, exclamando agoniada:
- Quá, quá, quá, droga!
Enquanto isso, o minúsculo passarinho sem nome descobriu um buraco de camundongo e enfiou-se dentro dele até ao fundo, depois gritou com voz estridente:
- O rei sou eu, o rei sou eu!
- Nosso rei, tu? - gritaram ainda mais exasperados os pássaros. - Julgas acaso que as tuas artimanhas têm algum valor?
E resolveram, no mesmo instante, aprisioná-lo no buraco e deixá-lo morrer de fome. E destacaram a coruja para montar guarda, recomendando-lhe que não deixasse aquele rebelde fugir, se tinha amor à vida.
Entretanto, chegando à noite, os pássaros, exaustos pelo esforço daquela grande revoada, recolheram-se às suas casas e, com as respectivas mulheres e filhos, foram dormir, ficando só a coruja de plantão junto do buraco de camundongo, a olhar com os olhões arregalados para dentro dele.
Não demorou muito, ela também se sentiu cansada; então pensou: "Um só olho podes fechar, contando que fique aberto o outro para vigiar essa pequena coisa ruim e não deixá-lo fugir de sua toca!" e fechou um olho, continuando com o outro a olhar, atentamente, para o buraco de camundongo. O espevitadinho pôs a cabecinha de fora e espiou se tinha alguma possibilidade de fugir; a coruja, porém, barrou-lhe a passagem e ele retirou a cabeça mais que depressa.
Aí a coruja abriu o olho fechado e fechou o que ficara aberto e assim, fechando ora um ora outro, ela pretendia passar a noite. Mas, a um dado momento, fechou um e esqueceu de abrir o outro, ficando, pois, os dois fechados; e ela ferrou no sono. O espevitadinho percebeu a coisa e tratou de escapulir bem depressa.
Desde esse dia, u coruja não pode mais sair durante o dia, pois os outros pássaros atiram-se sobre ela e lhe arrancam as penas. Ela só pode voar à noite, mas conservou um grande ódio e persegue todos os camundongos, só porque eles fazem esses detestáveis buracos.
Também o passarinho sem nome não tem muita coragem de apresentar-se diante dos outros, pois receia cair-lhes nas garras e perder a pele. Vive, quase sempre, escondido nos buracos das cercas e, só quando se julga seguro, põe-se a gritar:
- Rei sou eu, rei sou eu!
Por isso os outros pássaros o chamam com desdém: "Rei da capoeira."
Ninguém ficou mais alegre que a andorinha por não ter que obedecer a rei nenhum; apenas desponta o sol, ei-la a voar, alegremente, pelo espaço, gritando:
- Ah, como é belo! Sim, sim, como é belo! belo! belo! Ah, como é belo!